
Con l’ascesa delle diete iperproteiche, cresce il dibattito sul loro impatto sui reni. Facciamo chiarezza tra miti, rischi reali e raccomandazioni cliniche.
Le proteine vanno di moda. Le troviamo celebrate nei claim degli snack “fit”, nelle colazioni con yogurt arricchito, nelle diete che promettono dimagrimento rapido e tonificazione muscolare. Ma mentre per la massa muscolare sono un alleato prezioso, per i reni potrebbero non esserlo sempre.
Cosa succede, infatti, quando aumentiamo troppo l’apporto proteico in soggetti con una funzione renale ridotta, magari non diagnosticata? E quanto possiamo spingerci oltre il fabbisogno fisiologico in un soggetto sano? La risposta, come spesso accade, dipende dal contesto clinico.
Il legame tra proteine e funzione renale
Il rene ha il compito, tra gli altri, di eliminare i prodotti azotati derivati dal metabolismo delle proteine. Quando la funzione renale è integra, questo processo avviene senza problemi. Tuttavia, in presenza di una ridotta velocità di filtrazione glomerulare (GFR) – anche lieve – un eccesso di proteine può contribuire al peggioramento progressivo della funzione renale. Secondo alcune stime, circa 1 adulto su 10 può avere una forma lieve o moderata di insufficienza renale cronica (IRC), spesso asintomatica e non diagnosticata.
Quante proteine servono davvero?
Le Linee Guida e le società nefrologiche internazionali propongono una chiara distinzione tra soggetti sani e soggetti con IRC:
Condizione | Apporto raccomandato |
Sano adulto | 0,8–1,3 g/kg/die |
IRC stadio 3–4 (GFR < 60 ml/min) | 0,6–0,8 g/kg/die |
In dialisi | 1,0–1,2 g/kg/die (perdite aumentate) |
Nelle persone sane, anche un consumo fino a 2 g/kg/die è considerato sicuro nel breve periodo (es. sportivi). Ma in soggetti con IRC nota o sospetta, le diete iperproteiche sono controindicate, poiché favoriscono iperfiltrazione glomerulare, acidosi metabolica e iperfosfatemia.
La qualità proteica è importante almeno quanto la quantità. Le proteine ad alto valore biologico (come quelle dell’uovo, latte, carne, pesce) contengono tutti gli aminoacidi essenziali in proporzioni ottimali. Tuttavia, molte fonti proteiche animali contengono anche alti livelli di fosforo, minerale che tende ad accumularsi nei pazienti nefropatici. Quindi cosa fare ?
- Nei pazienti a rischio, preferire fonti proteiche ad alto valore biologico ma povere di fosforo, come albume o carni bianche.
- Combinare proteine vegetali complementari (es. legumi + cereali) per ottenere un profilo aminoacidico completo. Ma non solo vegetali se no si rischia di avere un quadro aminoacidico insufficiente
Ecco alcuni falsi miti da superare
1. “Le proteine fanno sempre male ai reni”
❌ Falso. Nei soggetti sani, le evidenze non dimostrano un aumento del rischio renale con un apporto moderato-alto di proteine.
2. “La dieta chetogenica è tossica per i reni”
Dipende. In assenza di nefropatia, può essere sicura a breve termine, ma va evitata nei soggetti a rischio, come diabetici o ipertesi non controllati.
3. “Le proteine vegetali sono inferiori”
Parzialmente vero. Le proteine vegetali hanno un valore biologico inferiore, ma possono essere adeguate se combinate correttamente.
Conclusione: equilibrio, non paura
Le proteine restano un nutriente essenziale, ma è fondamentale adattarne l’apporto al contesto clinico. In soggetti con funzione renale ridotta, un consumo eccessivo può accelerare la progressione della malattia. Per tutti gli altri, la parola chiave è equilibrio, senza demonizzazioni ma con consapevolezza.